Ana María Matute torna in scena con il suo libro postumo di cui vi proponiamo il primo capitolo

Ana Maria Matute

Negli ultimi giorni il mondo della letteratura ha di nuovo come protagonista la recentemente scomparsa Ana María Matute, ed è che se la scorsa settimana lei romanzo postumo intitolato "Demonios Familiares", ieri è stato il grande protagonista di Liber 2014 alla sua inaugurazione.

Inoltre, oggi sarà ancora una volta protagonista di questa sala poiché gli sarà tributato un tributo e ci sarà anche una lettura pubblica del suo ultimo romanzo, disponibile in tutte le librerie dalla scorsa settimana.

A questo omaggio postumo ad Ana María Matute, parteciperanno volti noti del mondo della letteratura come Carme Riera, Pere Gimferrer, l'editore Silvia Sesé e il direttore della RAE, José Manuel Blecua. Parteciperanno anche il vicepresidente del governo, Soraya Sáez de Satamaría, e il ministro della Cultura, Ferran Mascarell.

Il nostro piccolo tributo a questo scrittore, che ammiriamo, ammiriamo e amiamo, è offrirvi il primo capitolo del suo nuovo romanzo, che potrete acquistare anche direttamente al termine della lettura di questo primo capitolo.

I - La finestra dei falchi

Certe notti il ​​colonnello sentiva piangere un bambino nel buio. In un primo momento si chiese chi fosse, dal momento che nessun bambino viveva in casa da molti anni. Tutto ciò che restava, sul comodino della mamma, era una fotografia color seppia, un sorriso trasparente e irregolare - chissà se era della mamma o del bambino - che fluttuava nella notte, come una lucciola alata. Adesso i suoi ricordi, anche i fantasmi oscuri della campagna d'Africa, sembravano sempre più rifiuti, ciò che resta, briciole di pane sulla tovaglia, di un'antica festa. Ma la sua memoria ha recuperato ancora e ancora l'immagine di Fermín, suo fratello maggiore. Racchiuso nella sua cornice di velluto color malva, vestito da marinaio, appoggiato a un anello di legno, e sempre bambino. Come un fantasma ricorrente - "che strano, è mio fratello maggiore, ma io sono più grande di lui" - insisteva lì, nessuno lo aveva tolto dal tavolo, nemmeno quando la mamma se n'era andata, era stato sposato anni prima Il suo figlia era nata, ed Erminia, sua moglie, era morta.

Da quando si era fatto buio, era stato messo sulla sedia a rotelle, con le spalle al balcone aperto del soggiorno. Così si fermò davanti allo specchio che la mamma aveva appeso ad angolo, così che chiunque vi guardasse, o qualunque cosa vi si riflettesse, sembrava come se stesse per ribaltarsi. Tutto era allora, come amava dire la mamma, "un passo oltre ciò che sembrava". Quando le chiedeva perché lo specchio non fosse completamente appoggiato al muro, come le foto, lei ripeteva: "un passo avanti", con l'aria misteriosa di chi è e non è. Dalla sua morte si sentiva molto più vicina di quando viveva e scivolava per casa senza rumore, sempre in ciabatte, misteriosa, come latrice di segreti e pacchi custoditi tra l'ovatta del silenzio. E mi sentivo più che ricordare queste cose quando il bagliore arancione è apparso nell'angolo destro dello specchio, allargandosi nel cielo.

Improvvisamente Iago era al suo fianco. Come ai tempi in cui non era ancora il suo servitore ombra (come lo chiamava), quando era ancora il suo attendente, non lo sentiva mai arrivare, e si limitava a comparire al suo fianco.

"Sono andato a cercare la signorina Eva." Ora è a casa ", ha detto.

«Hanno bruciato il convento», mormorò il colonnello. Questa volta è toccato a lui... Ecco perché non volevo mia figlia... ”Si fermò. Una delle qualità di Iago era quella di poter portare avanti una conversazione con il minimo di spiegazioni. Tra lui e il colonnello c'era un filo invisibile di rapporto così stretto che non avevano quasi bisogno di parole per capirsi.

—Sì, mio ​​colonnello... Non è stato un incidente... Sono andato al garage, ho attaccato la cavalla al tílburi... E l'ho portata fuori, l'ho portata dal convento poco prima che arrivassero con i tamburi. A quel punto, era al sicuro.

"Chi erano ...?"

"I soliti, colonnello." Ti porto da qualche parte?

"No, lasciami così, con le spalle al balcone." Voglio continuare a guardarmi tutto allo specchio... Che ne sai delle suore?

"Se ne sono andati tutti in orario che io sappia." Le ultime tre, Madre Ernestina, la superiora, con due postulanti. E la signorina Eva, con me.

-L'ultimo?

"No, mio ​​colonnello, il primo dei tre."

Ora il bagliore riempiva quasi interamente lo specchio, e il profilo dei sobborghi si stagliava nero contro il cielo chino su di esso. Un passo avanti, pensò. E gli parve di sentire la voce della mamma, un respiro leggero nel suo orecchio, roco e morbido allo stesso tempo.

È stato forse il momento in cui è stato più angosciante sentirlo. Ma sapere che Eva, sua figlia, era già al sicuro a casa, gli ha restituito la precaria tranquillità di cui aveva goduto negli ultimi tempi. Sebbene non avesse mai permesso a quel disagio di rivelare la falsità della sua aria immobile, l'impassibilità del suo viso. Nessuno, men che meno sua figlia, avrebbe conosciuto il disagio, il disgusto provocato dalla sua decisione, così sorprendente, di entrare come novizia postulante nel convento dove aveva studiato, stagista, da quando aveva sette anni. E quello che non si è mai sentito pronunciare lodi, appunto.

Quel disgusto, che si aggiungeva alla paura - sì, anche alla paura, non poteva illudersi - che gli ultimi avvenimenti gli producevano. Conventi bruciati, amici perseguitati, cambio di regime, della bandiera...

Non un solo specchio in tutto il convento. Non un solo specchio nella mia cella: non mi vedeva da un anno. Fu la prima cosa che mi venne in mente quando Madre Ernestina ci riunì nel suo studio. Era passata più di una settimana da quando si era tolta l'abito e "si è travestita da donna", come dicevano le aspiranti novizie. Eravamo rimasti solo in tre, i gemelli del sud e io. Gli altri erano tornati alle loro case, o le loro famiglie erano venute a prenderli. Madre Ernestina ci contemplò in silenzio per qualche minuto, e finalmente si mise a piangere. Era molto raro vedere l'imponente grido superiore, davanti al quale avevamo tremato più di una volta. Ora ci abbracciò uno ad uno e disse: «Tu, Eva, tieni tuo padre… Ha già mandato Iago a cercarti: ti aspetta di sotto. Le gemelle le porto con me... A prestissimo», aggiunse subito, «finché Dio vorrà.

Sono saltato giù per le scale e, quando ho visto il viso grosso e quasi sorridente di Iago, nella sua bizzarra divisa inventata da lui stesso con le vesti scartate dal Colonnello, e, soprattutto, l'amata fattrice Catalina, stavo per abbracciarli tutti e due. Ma sono salito sul tílburi in silenzio. Sono addomesticato, ho pensato. Un fremito interiore prematuro, che mescolava sentimenti di paura e di gioia incontenibile, scosse il mio cuore dentro. "Un anno intero senza guardarsi allo specchio...", mi ripetevo, come in una di quelle stupide canzoni che a volte occupano i nostri pensieri, senza che noi possiamo evitarlo.

Finalmente, già sfiorando il limitare del bosco, sulla collina, apparve la casa. I cittadini lo chiamavano il Palazzo. "Ma non è un palazzo... solo perché ha due scudi sul davanti..." Stavo già entrando nel portone grande e pesante, e stavo correndo su per le scale. Mi mancava - e ora mi rendevo conto di quanto - la mia stanza, vecchia e antiquata com'era, anche se non aveva niente a che fare con le stanze delle altre ragazze, come vedevo sulle riviste. Soprattutto, mi mancava il grande specchio nel mio armadio.

In realtà - chi lo stava per dire - mi mancava tutta la casa, dalla mansarda con la mia finestra preferita davanti all'albero alla vecchia Magdalena, cuoca e governante, tutta d'un pezzo, che «aveva conosciuto mamma e mamma.. . ", E a Iago, che segretamente chiamava "l'Ombra" perché sembrava non staccarsi dalla sedia a rotelle, né dai pensieri stessi di mio padre, con i suoi fantasmi condivisi della guerra d'Africa; tutto ciò che mi era parso grigio, monotono e insopportabile, compreso il colonnello. Mi affrettai su per le scale, e il familiare scricchiolio dei gradini di legno sembrava darmi una specie di benvenuto, anche se sobrio e avaro come lo stesso colonnello: un bacio formale sulla mano era tutto ciò che mi era concesso in segno di affetto. «Allora vado a trovarlo… prima voglio vedere la mia stanza. Dopotutto, guarda il mondo nel suo specchio inclinato... Io guardo me stesso nel mio, pensai, con un vago misto di compassione e vendetta nascosta sull'invalido in pensione. In quel periodo ero spesso sopraffatto da un oscuro disagio: dovevo vendicarmi di mio padre, anche se non ne conoscevo la causa. Lo odiava? Non ho respinto questa idea, ma allo stesso tempo l'ho messa da parte, spaventata e ho finito per risvegliare un senso di colpa spettrale, che non riuscivo a spiegare. Non conoscevo nemmeno mia madre. Sapevo che si chiamava Herminia, e che, da quanto ho sentito da Magdalena, "ora quasi nessuno muore di parto, ma ha avuto tanta sfortuna". Ho aperto la porta spingendola con entrambe le mani. Era pesante, come tutto il resto della casa, e quel grugnito familiare sembrava anche graffiare l'aria che all'improvviso mi sembrava accogliente, e prima mi suonava come un rifiuto. Puzzava di chiuso, anche se tutto era ordinato e pulito. Si vedevano le mani di Maddalena ("come piaceva alla mamma... e anche a tua madre, che cercava di imitarla in tutto..."). Quando smetteresti di sentire le stesse frasi, di parlare delle stesse persone? Tra Magdalena e Yago, che si prendevano cura di mio padre con una dedizione alla pecorina, quasi fastidiosa, gestivano la casa (o meglio, la "trascinavano", come le lumache). Mi sembrava anche che la mia stessa vita si trascinasse, forse per questo, e non solo per aver sconvolto mio padre, avevo deciso di entrare in convento?

Ho aperto la finestra ed è entrato il crepuscolo, quasi notte. La vicinanza del bosco e dei frutteti che circondavano la casa emanava un respiro selvaggio, di cruda primavera. Tutto sembrava sul punto di nascere. Mi sono affacciato allo specchio, e ho cominciato a togliermi i vestiti, allargandoli intorno a me, finché ero nudo, mi vedevo per intero. E non ho più visto una ragazza. Stavo guardando - guardando me - per la prima volta: una giovane donna bianca. Una creatura che prendeva appena il sole, e in quel momento ho scoperto che aveva sete di sole, di vento. Il contrasto del candore della mia pelle con il nero intenso dei miei capelli mi ha quasi sorpreso, come se non appartenesse a me, come se appartenesse a qualcun altro. Quello era stato il mio anno di prova, e il successivo, se fosse durato — che non sarebbe durato — sarebbe stato il mio ingresso in convento, ora ufficialmente novizio. Ho aperto bruscamente l'armadio e gli abiti dondolavano di sopra sulle grucce. "Tutti i miei vestiti..." li allungai e li abbracciai, come ex complici, più che amici. In convento, durante il mio anno di prova, non portavo ancora l'abito, ma le gonne e le camicette consentite non avevano niente a che fare con quelle. E di nuovo, dopo tanto tempo, mi guardai negli occhi. Spesso evitava di guardarmi negli occhi. Questa volta l'ho fatto senza paura. Erano blu, grandi, luminosi. Sono carina, mi dissi ad alta voce. Qualcosa che per l'ultimo anno era proibito non solo dire, ma pensare. I cardini della porta gemette di nuovo, e Magdalena entrò, senza bussare, come al solito. Mi ha abbracciato, ha versato una lacrima.

"Dimmi, ragazza, dimmi...

—Prima vennero alcuni, lanciarono insulti e pietre contro la porta principale… Poi, quando si fece buio, arrivarono quelli con i tamburi… Ma ormai Madre Ernestina aveva raccolto quelli di noi che erano rimasti, perché molti di loro erano dispersi; Erano andati a casa o le loro famiglie erano venute a prenderli... Eravamo rimasti solo noi tre: i gemelli e io. Madre Ernestina mi disse allora che Yago era venuto a cercarmi, con il tílburi... Ero contenta che avesse portato il tílburi e la cavalla Catalina. Madre Ernestina chiuse a chiave la porta e lei e le gemelle mi abbracciarono. Tutti loro, prima così riservati, si sono improvvisamente abbracciati.

Mi sentivo parlare con voce annoiata, come se fossi costretto a leggere ad alta voce.

-È tutto? -Chiedo

"Sì, è così, Magdalena... solo... sono contenta di essere a casa."

Non è tutta la verità, non è che sono felice di essere a casa. Sono contento di essere uscito da lì". Ma intimamente ero anche contento del ricongiungimento con l'odore della terra e degli alberi che entrava dalla finestra, che mi stringeva e mi circondava come una musica misteriosa, udibile solo dentro di me. E poi, all'improvviso, è arrivata la tempesta. Cadde una raffica di pioggia, forte e rumorosa, entrò nella stanza, bagnando il pavimento e noi due.

"Dio l'ha fatto... Dio benedica!" Gridò più di quanto dicesse Magdalena, congiungendole le mani, come in preghiera. Una goccia d'acqua gli scese sulla fronte. E chiuse la finestra. Ma subito si è rivolto a me: "Non sei ancora andato a trovare tuo padre...?" E si fermò, come spaventato dalle sue parole o da qualcosa che stava vedendo. Mio Dio, sei nudo!

"Non preoccuparti... mi vesto subito e scendo a vederlo."

"Presto ti servirò la cena" mormorò e, ancora nervosa, aggiunse come tra sé e sé: "La poveretta sarà preoccupata, ti sta aspettando... Ha visto il fuoco nello specchio, ma ormai...". .. Iago ha anticipato ed è andato a cercarti...

"Ti sto dicendo di non preoccuparti."

Rimasta sola, aprii il cassetto delle mutande e tirai fuori i vestiti con dolce, struggente delizia. Pizzo e seta mi scivolarono tra le dita e chiusi gli occhi. Nel mio felice anno di prove, anche la mia biancheria intima ha dovuto cambiarsi per i vestiti ruvidi che sono stata costretta a indossare. Li odiavo. Anche se potevo considerarmi fortunata: mi sono tenuta i capelli.

Mi sono vestita, lentamente, di abiti che un anno fa sembravano volgari, ordinari, e ora preziosi. Quante cose a cui non dava importanza poi diventarono improvvisamente ambite, si potrebbe dire scoperte. Perché ero andato al convento? Cosa era venuto a cercare lì? Ora doveva trovare una risposta convincente. Ma "là fuori..." tutto era così sconosciuto, così misterioso. Pieno di confusione, ignoranza e quasi odio verso non sapevo chi o cosa, il rispettoso timore che avevo provato da bambino e da adolescente nei confronti di mio padre appariva ora trasformato in una specie di insano rancore. Ma anche al di sopra di questi sentimenti, una noia vasta, quasi sconfinata, mi invadeva ancora più pesante, più impassibile del risentimento, e dell'indecisione che, paradossalmente, mi aveva spinto, un anno fa, ad entrare in Convento. Un posto che non aveva più niente a che fare con quello che ricordavo dai miei anni da scolaretta.

La noia potrebbe essere una sensazione così distruttiva? Mi sono guardato allo specchio, già vestito, e ho pensato: sono uno sconosciuto. Non so chi sia quella donna.


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